CITAZIONE (giuseppe brianza @ 18/1/2012, 21:14)
Sono milanese, sono cattolico credente non praticante, sono stato leghista, mi sento italiano orgoglioso, al di là di tante sciocchezze fatte e prossime venture.
Ma da qualche anno mi sono reso conto che la storia scritta solo dai vincitori non è la vera storia: e anche in questo caso questa affermazione è vera.
La storia fà molti scherzi: prendiamo il caso degli ebrei: nei secoli essi hanno convissuto con le loro comunità in pace col resto del mondo: nonostante quella straordinaria coglionata dei cristiani che li accusavano di deicidio (ci volle Papa Woityla per abolirla) e che li confinò nei ghetti.
Poi, agli inizi del novecento, in virtù di beghe interne al mondo zarista, da parte dei servizi segreti russi viene stilato un documento (falso) in cui si addossano agli ebrei le responsabilità di non so quale disastro, al fine di coprire i veri responsabili: di lì comincia a rotolare una frana che ha portato a sofferenze inaudite che tutti conosciamo.
Credo che la storia costruita dopo la unificazione italiana sia più o meno dello stesso calibro: nessuno parla della responsabilità dei comportamenti austeri ma intransigenti dei piemontesi: che senza nulla dare in cambio pretesero le tasse da popolazioni che neppure sapevano che cosa quella parola significasse.
Ah, birboni meridionali! Non le pagate? Allora giù botte!!
Come?, Osate reagire? Allora siete dei briganti...: non la volete piantare? allora giù centinaia di migliaia di soldati con la bandiera dei Savoia...
Quel conto lo paghiamo ancora oggi: ma quel che dispiace e ripugna è la cinica e brutale attitudine di tanti 'padani con le corna sull'elmo' a dare addosso al terrone: oltre la volgarità, quello che fà male è la stupidità e la cattiveria, in particolare di quei leaders che se ne fanno vanto... e se ne servono per quattro voti finalizzati esclusivamente al loro personale cinico e irresponsabile potere.
Quella è gente che non ha studiato, che non vuole studiare, che non ce la fà a studiare: quella è la vera feccia del Paese. Sono i fratelli in ...Trota.
Questa è esattamente la 'gente' che ha bisogno di frottole per farsi un credo. E di queste vive.
Caro Giuseppe (mi dai licenza di chiamarTi per nome, e di darTi del Tu?), è un pò che seguo attentamente i Tuoi interessanti e sempre precisi interventi.
Esiste il problema della verità storica ufficiale, che è quella scritta dai vincitori. Ma, come spesso anche in questo forum mi è stato fatto notare, sono passati ormai 150 anni (e comunque, gli storici hanno ormai fatto piena luce su quasi tutto, facendo finalmente giustizia).
Voglio però parlare di fatti molto più vicini a noi e, che, per usare le Tue precise parole, servono a spiegare perchè è nata la "vera feccia del paese...i fratelli in ...Trota".
Dalle elezioni politiche del 1992 sono passati circa vent'anni. Tutto ebbe inizio con una mazzetta trovata nelle mutande di tal Mario Chiesa, da lì partì una valanga che travolse tutto e tutti e, dopo anni, la stagnante palude della politica italiana divenne un mare in tempesta.
L' elemento caratteristico della presunta "rivoluzione giudiziaria" è costituito dal fatto che la corruzione, ampia e diffusa, viene individuata e scoperta non nel profondo ed arretrato Meridione, bensì nel ricco, industrializzato e sviluppato Nord. Era evidente che il capitalismo nord-italiano aveva sostituito all'espropriazione della popolazione agricola, come avevano fatto nel XVIII secolo i capitalisti inglesi, l'appropriazione con ogni mezzo delle risorse pubbliche. Allorquando, dopo anni di rapina, il gioco viene finalmente scoperto, esce fuori un signore il quale ci spiega che non abbiamo capito niente e che la colpa non è dei "poveri" industriali, agricoltori, allevatori ed artigiani del Nord, ma la colpa è di Roma che è ladrona e, di conseguenza, la responsabilità è del Sud che vive e mangia alle spalle del ricco Nord grazie alla complicità dei politici romani. Perciò, dato tutto questo per scontato, ci vuole un nuovo soggetto politico, che è appunto la Lega Nord che s'incaricherà di portare a compimento la rivoluzione italiana, realizzando quella divisione economica, politica, istituzionale e territoriale che consentirà di separare i buoni dai cattivi, i progrediti dagli arretrati, gli onesti dai disonesti, i ricchi dai poveri, i nordisti dai meridionali.
Non è il caso, a questo punto, di iniziare le solite lamentazioni sullo sfruttamento secolare del Meridione in quanto non è questo il punto centrale della questione.
Quel che occorre cercare di capire è come sia stato possibile che un discorso di stampo separatista sia riuscito a trovare favore e credito.
Lasciando da parte tutte le motivazioni di carattere antropologico e folkloristico, tipo i raduni a Pontida, il sole celtico, e le sacre ampolle cerchiamo di andare al cuore della questione;
una serie di ragioni, interne ed internazionali, avevano favorito una crescita economica dell'industria del nord e, in particolare, di quella del nord-est, la quale aveva trovato nell'area mittel-europea un mercato abbastanza ricettivo. Questo processo di crescita è guidato non dalle tradizionali famiglie capitalistiche, ma da una rete di piccole e medie imprese, per lo più a gestione familiare, le quali lavorano quasi esclusivamente per l'esportazione. Questo nuovo ceto imprenditoriale, che utilizza manodopera a basso costo, che evade le tasse e che dipende dallo Stato, vede proprio nello Stato il nemico. La rete di protezione di previdenza sociale, i diritti sindacali, la politica dei redditi, il controllo dell'inflazione, il governo della circolazione monetaria e, più in generale, l'intervento pubblico sono percepiti come altrettanti ostacoli sul cammino dello sviluppo industriale. Secondo questi "moderni" capitani d'industria il surplus economico prodotto dal Nord viene drenato, attraverso l'erogazione della spesa pubblica, a favore del Sud povero, fannullone e mafioso. In buona sostanza essi scambiano l'effetto per la causa. Nessuno s'incarica di spiegare loro che il drenaggio delle risorse segue, in realtà, un percorso esattamente inverso e che l'accumulazione del capitale avviene rastrellando, attraverso le banche ed il Ministero del Tesoro, il risparmio meridionale.
Se il Sud è il regno dellarretratezza e del sottosviluppo, se il Sud è il regno della mafia, se il Sud è regno di fannulloni e vagabondi, come si spiega che le banche meridionali sono così appetibili? Come si spiega che le banche, grandi e piccole, del centro-nord fanno a gara per accaparrarsi anche la più piccola ed insignificante banchetta meridionale?
Questa bizzarra peculiarità rapace del capitalismo finanziario nordista la dice lunga sulle origini del rapido sviluppo del nord-est italiano ed evidenzia la provenienza delle risorse necessarie a formare quella famosa accumulazione originaria o primitiva del capitale. Solo che, una parte di queste risorse, per una serie di ragioni, si perde all'interno di un sistema di ridistribuzione della ricchezza che, ironia della sorte, ne restituisce un'esigua parte al Meridione sotto forma di briciole.
Inoltre, le grandi banche dovendo far fronte alla concorrenza dei colossi nord-europei, si sono attrezzate per fare in modo di chiudere tutti gli spazi ancora aperti all'influenza esterna. Il controllo del credito e del risparmio meridionali significa costruire un circuito risparmio-credito-finanziamento capace di generare un circolo in cui tutti i benefici andranno alle industrie produttrici. Infatti, il commerciante meridionale che chiede un finanziamento per la propria attività alla sua banca locale, controllata da una banca del nord, anticiperà al proprio fornitore denaro drenato in loco, in attesa di recuperarlo tramite altro denaro prodotto in loco. Il Sud, in pratica, finanzia due volte l'industria nordista: la prima volta con il risparmio, la seconda volta con il credito.
L'idea di una possibile secessione, che nessun imprenditore nordista di buon senso può volere, nasce e si sviluppa sulla base di un perverso corto circuito, rappresentato dalla convinzione che sarà possibile ottenere più risorse se si eliminano le briciole elargite al Meridione sotto forma di pensioni, di sussidi e di indennità varie. Praticamente, se si eliminassero le elemosine.
I secessionisti ed i leghisti, però, non si son chiesti, a questo punto, una volta realizzata la separazione, per quale motivo il Meridione dovrebbe acquistare, stante l'attuale mercato unico europeo, considerata la globalizzazione dei mercati, dagli industriali veneti, milanesi o parmensi e non piuttosto direttamente dai francesi, dai tedeschi o dagli olandesi, dai brasiliani, dagli indiani e dagli odiatissimi cinesi. E perché mai dovremmo rivolgerci direttamente ad una banca nostrana e non piuttosto al Credit Lionnays o alla Deuchte Bank o al Banco di Santander.
Col passare del tempo i bollenti spiriti secessionisti si sono placati ed i leghisti si sono accontentati di sedere sulle tanto vituperate poltrone romane badando ad accaparrarsi prebende e soldi, come insegnava il buon Craxi. Per fare politica ci vogliono soldi, tanti soldi, un oceano di soldi e poi bisogna occupare tutte le caselle dello scacchiere. La secessione è sfumata in federalismo che a sua volta è diventato fiscale, amministrativo, comunale, territoriale "purché se magna".
Ora che la tempesta ci ha travolto, ora che la montagna di debiti ci sta franando addosso, ora che l'euro non è più uno scudo torna la secessione, torna il parlamento padano, tornano i giochetti, le finzioni, l'avanspettacolo.
Se, però, inseriamo nelle nostre riflessioni queste semplici valutazioni, ci accorgeremo che la minacciata secessione nordista è quello che è sempre stata: solo un giocattolo con il quale continuano a trastullarsi alcuni apprendisti stregoni, alcuni giocherelloni, molti buffoni e qualche macchietta, insomma gli utili idioti di sempre.
...E, se noi meridionali arrivassimo a tale consapevolezza, forse la secessione, quella vera, la faremmo noi.
bruzia